In una classe di un liceo scientifico di Milano, un gruppo di studenti, decide di occupare la classe. All’inizio prevale l’entusiasmo per aver guadagnato uno spazio libero in cui fare, per un po’, quello che si vuole. Con il passare del tempo, prevale un senso comune di disagio, una sorta di allergia a tutti quei paletti che la vita adulta ci pone davanti.
È evidente un senso di oppressione che spinge i ragazzi a un’azione che comincia come un gioco ma che poi si sviluppa in un manifesto delle loro volontà di vivere la propria vita in un modo che non conoscono ma che vogliono, comunque “diverso”.
uno spettacolo per ragazzi fatto dai ragazzi, dove anche gli adulti possono riconoscersi in quello che sono ma anche e sopratutto in quello che sono stati
APPROFONDIMENTI
Quando abbiamo deciso di scrivere questo testo la prima domanda che ci siamo posti era se noi stessi fossimo in grado di percepire la condizione in cui si trovano oggi dei ragazzi di diciassette anni. Nonostante fossimo poco più che trentenni ha prevalso la paura di scrivere con un linguaggio a loro estraneo e dare il nostro filtro a quelle che potevano essere le loro esigenze. Abbiamo deciso di partire da loro: li abbiamo intervistati e gli abbiamo chiesto di fare degli esercizi di scrittura, in modo che venissero alla luce i loro contenuti.
Come era ovvio aspettarsi, il risultato ci ha sorpreso per ricchezza e profondità. A questo punto non restava altro da fare che riunire tutto questo materiale in una storia. Il risultato che ne è derivato ha mostrato come una generazione etichettata come indolente e priva di progettualità, possa generare una potente vitalità che va solo lasciata sfogare affinché produca i suoi frutti. Se è vero che i giovani sono il nostro futuro bisogna anche cercare in loro le risposte e non forzare dentro di loro le nostre necessità di adulti.
La potenza dell’operazione si è mostrata a noi solo quando lo spettacolo ha incontrato il pubblico. Agli autori si dice di scrivere solo su cose che conoscono bene. Vedere dei ragazzi sul palco parlare di loro stessi davanti ad una platea di adulti, con la forza di chi conosce il significato profondo di quello che dice è stata un’esperienza totalizzante.
La messinscena di Giada Catone ha poi aggiunto quello che mancava: un groviglio di corpi “in tempesta” che lottano per uscire, in un mix di teatro di prosa e coreografie che ha stupito, per efficacia e potere catartico, me che ero seduto in platea come, immagino, tutto il resto del pubblico al mio fianco.
PERFORMERS:
- Marco Cozzo
- Margherita Innocenti
- Anna Ferrario
- Letizia Caruso
- Sofia Gastaldi
- Mafallda Franzoni
- Alessia Buonocore
- Nadir Lotta
TESTO: Carlo Compare
REGIA: Giada Catone
COREOGRAFIE: Giiada Catone
ORGANIZZAZIONE: Oriana Scialino e Matteo Sala
PRODUZIONE: Compagnia FavolaFolle
SPAZIO
- 6 metri di larghezza per 6 metri di profondità
- Fondale nero per la totale larghezza dello spazio scenico
ILLUMINAZIONE
- Portata elettrica necessaria: 15 Kw
- N° 12 PC 1000w con bandiere e telaio porta gelatina
- N° 4 ETC 750w con telaio porta gelatina
- N° 12 PAR LED 18×5 w
- N° 12 CANALI DIMMER con almeno 10a per canale
- N° 1 MIXER LUCI 24|48 canali con possibilità di memorizzazione scene
AUDIO
- Impianto di potenza commisurata alle dimensioni dello spazio
- N° 1 ciabatta microfonica 12:4
- N° 1 mixer 12 canali mono, 2 aux (post fader), 1 s/r FX
- N° 2 microfoni voce (shure sm 58)
- N° 2 casse attive 300w